La dieta amica del clima

La dieta amica del clima

Estratto da Altreconomia di giugno 2022 – Se hai sperimentato alcune ricette amiche del clima e vuoi condividerle con noi e altri, puoi aggiungere a questo link

Nel Sesto Assessment Report pubblicato il 4 aprile 2022, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha ribadito il grande potenziale di azioni individuali ed evoluzioni comportamentali per contrastare il cambiamento climatico. Secondo il Report, l’adozione di una dieta sostenibile e salutare è la misura con più alto potenziale per la riduzione dell’impronta carbonica di ogni individuo. Il settore del cibo è infatti responsabile del 30-35% di tutte le emissioni antropogeniche di gas serra. All’alimentazione sono imputabili emissioni dovute a cambiamenti d’uso del suolo (per produzione agricola, di foraggio e per l’allevamento), oltre a quelle per il trasporto, la trasformazione, la distribuzione e il consumo dei vari alimenti. Non solo nel mondo mangiamo in media sempre di più, ma i dati dicono che si consumano sempre più cibi di derivazione animale, meglio sempre più animali che si cibano di altri animali, ovvero ad alto livello trofico. E maggiore è il livello trofico di un alimento, maggiore è solitamente l’impronta carbonica ad esso associata.

Se davvero si vuole operare un cambiamento rapido e su larga scala delle diete individuali occorre promuovere con decisione, compatibilmente con i diversi contesti culturali, l’uso di ingredienti a basso impatto ambientale. Oltre ad essere sana, ogni dieta proposta come alternativa al business as usual (o dieta as is) deve essere infatti culturalmente accettabile, cioè compatibile con ingredienti e costumi della regione d’adozione, pena il suo fallimento.

Uno studio di diversi ricercatori del Politecnico di Milano (Giuliano Rancilio del Dipartimento di Energia e Renato Casagrandi del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, oltre a Davide Gibin ed Alessandro Blaco rispettivamente ingegnere per l’ambiente e il territorio e ingegnere energetico) ha cercato di proporre per diversi contesti, tra cui quello italiano, una dieta amica del clima che permettesse di ridurre significativamente l’impronta carbonica dell’alimentazione, mantenendo gli apporti di energia e nutrienti per un nutrimento sano e rimanendo fedele ad alcune regole che rendessero la dieta culturalmente accettabile.

Quanto impatta sul clima la nostra dieta business as usual?

Per calcolare se e quanto un cambiamento di dieta sia vantaggioso, occorre conoscere quanto la dieta as is impatti sui cambiamenti climatici, a livello globale e in macroregioni di interesse. La tabella in calce riporta l’impronta carbonica annua per persona (in tonnellate di CO2 equivalenti), la percentuale di questa imputabile al solo consumo di carne e un breve elenco dei cibi fondamentali presenti nella dieta media mondiale, in quella Cinese, Europea e Statunitense. La “dieta mondiale” è dominata da alcuni alimenti fondamentali quali riso, derivati del grano e altre farine. La carne più diffusa è il pollame, caratterizzato da un’impronta carbonica relativamente limitata se comparato al maiale (prevalente nella dieta cinese) o alla carne bovina (1 tonnellate di CO2 equivalente, ovvero tCO2eq, dell’impatto pro capite USA è imputabile solo a quest’ultima). La zona Europea è composta di diete variegate, la cui impronta carbonica media annua si aggira intorno alle 1,6 tCO2eq. L’ampio consumo di latte e derivati, oltre che carni, è qui mitigato dall’uso di cereali, principalmente derivati del grano (pane e pasta nella dieta mediterranea), i quali hanno metà impronta carbonica del riso a parità di kcal fornite.

Diete per combattere il cambiamento climatico a tavola

Per proporre diete a basso impatto climalterante, abbiamo costruito elenchi di ingredienti/cibi in ordine decrescente di impronta carbonica. Solitamente, l’impronta viene espressa in termini di grammi di CO2 equivalente (gCO2eq) emessa per kg di prodotto. Per costruire una dieta salutare, però, le unità di misura che contano sono le kcal e le quantità di macro e i micronutrienti, piuttosto che il peso del cibo. Per ogni regione, abbiamo perciò stilato 4 classifiche dei cibi, ordinati per emissioni crescenti sulla base della fornitura di: energia (gCO2/kcal), proteine (gCO2/g_proteine), ferro (gCO2/mg_ferro) e vitamina B12 (gCO2/micro-g_VB12). In caso la dieta proponga una riduzione consistente della carne, infatti, occorre garantire un giusto apporto di micro e macronutrienti potenzialmente scarsi. Ecco a titolo di esempio un breve estratto di due tabelle che riporta i cibi più “amici del clima” per l’apporto rispettivamente di proteine e vitamina B12, fornita solo da alimenti animali e potenzialmente scarsa in diete a bassa quantità di carne.

È stato poi analizzato l’impatto di diete de-carbonizzate, sviluppate basandosi sulle classifiche dei cibi già riportate e su criteri di regionalità della dieta (= mantenere per quanto possibile i cibi ad oggi diffusi in quelle regioni), nelle macroregioni degli USA, dell’Europa e della Cina, per verificare l’impatto percentuale della riduzione di impronta carbonica legata al cibo. I risultati in figura indicano una significativa diminuzione, di oltre il 50% generalmente, tra la situazione così com’è oggi (riportata nei cartigli rossi-gialli) e il potenziale de-carbonizzato (riportato nel grafico a colonne). Una “dieta mondiale” amica del clima, dove cioè si abbandonino anche i vincoli di regionalità, risulta in una dieta ideale, valida come modello a cui tendere, che elimina tre quarti dell’impronta carbonica legata all’alimentazione.

La dieta italiana amica del clima

Nel caso italiano, si parte già da una buona base: la dieta mediterranea ha infatti un impatto per persona di 1,4 tCO2eq annue, inferiore alla media europea. La dieta a minimo impatto per il clima sviluppata per come descritto su permette, con la lista della spesa schematizzata in tabella, di dimezzare le emissioni, riducendole a 0,7 tCO2eq annue. La caratterizzano la prevalenza di grano e derivati, pesce da a basso livello trofico da pesca sostenibile e il mantenimento di latte e pollame.

Conclusioni

Visto un potenziale così imponente, si è provato a calcolare cosa accadrebbe se, in uno scenario utopico, il 50% delle persone di ciascuna delle 3 regioni analizzate (USA, Europa e Cina) decidesse di adottare entro il 2030 la dieta to-be. È certamente ardito, lo sappiamo, ma sognar non nuoce. Cosa succederebbe? Si avrebbe una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 2,1 Gigatonnellate di CO2eq ogni anno. Se si considera che per centrare l’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale ad 1,5 gradi al 2100 occorre ridurre di circa 10 Gigatonnellate le emissioni annue al 2030, vuole dire che solo cambiando la dieta (in tantissimi, naturalmente, quindi è un sogno), avremmo già fatto un quinto della strada. Solo stando a tavola altrimenti. Non male, diremmo.

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Per saperne di più

Giuliano Rancilio, Davide Gibin, Alessandro Blaco, Renato Casagrandi, Low-GHG culturally acceptable diets to reduce individual carbon footprint by 20%, Journal of Cleaner Production, Volume 338, https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2022.130623
La lotta al cambiamento climatico si fa a tavola con nuove abitudini, Altreconomia, Giugno 2022, https://altreconomia.it/la-lotta-al-cambiamento-climatico-si-fa-a-tavola-con-nuove-abitudini/

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